I pici (o pinci) sono il primo piatto della gastronomia senese: grossi spaghetti fatti con la farina di grano tenero, anziché con la semola di grano duro.
Era il tipico piatto povero dei contadini, perchè gli ingredienti sono limitati ad acqua e farina.
Farina di grano tenero tipo 00, semola di grano duro, acqua, olio extravergine di oliva, sale, spolvero farina di riso. Può contenere tracce di soia.
Possono essere fatti a mano, dall'aspetto grossolano ed irregolare, oppure a macchina, con un diametro costante di 3-4 mm, come quelli prodotti dal nostro pastificio e confezionati che possono essere acquistati nei negozi alimentari e supermercati.
Per quanto riguarda il condimento, i contadini si accontentavano di un poì di olio ed un trito di cipolla, ma si gustano meglio con cacio e pepe, al ragù di nana (è l'appellativo toscano dell'anatra), con sugo di salciccia e funghi oppure salciccia, patate e fagioli, o con i condimenti più gettonati: il cacio e pepe, le briciole di pane oppure il sugo all'aglione, fatto con pomodoro, carote, sedano, cipolla e molto, molto aglio.
schiacciate 4 spicchi d'aglio, meglio se d'aglione, una varietà d'aglio locale, caratteristico per le grosse dimensioni ed il sapore delicato, in quanto privo di alliina, la sostanza responsabile dell'odore ed il sapore pungente dell'aglio comune quando viene sminuzzato. Soffriggete l'aglio schiacciato nell'olio d'oliva a fiamma bassa, e quando si è indorato aggiungete un peperoncino spezzettato e 4 pomodori tagliati a dadini, avendo cura di eliminare per quanto possibile i semi, quindi salate e fate cuocere fino a che la salsa sia ben insaporita e densa. Appena i pici sono cotti, scolateli e versateli in padella con la salsa all'aglione, e saltateli leggermente. Tempo di preparazione: 20 minuti.
fondete 2 noci di burro in una padella aggiungendovi il pepe nero. Una volta cotti i pici, metteteli nella padella con un cucchiaio di acqua di cottura. Rimescolate a fuoco lento e aggiungete il Pecorino Toscano grattugiato a scaglie grandi. Utilizzate altre scaglie di pecorino per guarnire il piatto. Niente a che vedere con certi ristoranti che usano condimenti pronti a base di formaggio. Tempo di preparazione: 5 minuti.
spezzettate 100 g di mollica di pane non condito e frullatela con il mixer. Scaldate 3 cucchiai d'olio extravergine d'oliva in una padella e fate rosolare a fuoco molto dolce 2 spicchi d'aglio schiacciati e poco peperoncino, poi rialzate un po' la fiamma e unite la mollica che fate rosolare fino a leggera colorazione. Tempo di preparazione: 5 minuti.
Ingrediente base sarà un'anatra muta, la “nana” in senese, che dopo avere ben pulito e fiammeggiato, taglieremo in tanti pezzi. Prepariamo un trito di cipolla, sedano, carota, prezzemolo, aglio e una punta di peperoncino che lasceremo sfrigolare lentamente in olio e.v.o., prima di aggiungere la nana tagliata precedentemente, ad eccezione del fegato. Facciamo ben rosolare la nana aiutandosi con l’aggiunta, via via, di un bicchiere di vino rosso, rigirando i pezzi in continuazione. Quando il vino sarà completamente sfumato, uniamo il pomodoro spezzettato, la salvia, il fegato che abbiamo messo da parte e, dopo aver aggiustato di sale, lasciamo cuocere lentamente per circa un’ora, avendo l’accortezza di levare il fegato dopo una mezz’ora di cottura. Quando la nana sarà ben tenera e il sugo avrà raggiunto una certa densità, preleviamo i pezzi di carne, eliminiamo la pelle e le ossa e, dopo averli tritati con un coltello, li uniremo nuovamente al tegame insieme al fegato, anch’esso tritato. Lasciamo cuocere per qualche altro minuto, il tempo di lessare i pici che andremo a condire con il sugo completando il piatto con una generosa spolverata di pecorino senese stagionato e una passata di pepe nero macinato al momento.
Mettete a lessare i pici in acqua bollente salata. Grattugiate il pecorino, unitevi i 4 tuorli e amalgamate il composto con l’aiuto di una frusta, quindi aggiungete un pizzico di sale, una generosa macinata di pepe nero e un cucchiaio di acqua di cottura dei pici. Pulite il tartufo e affettatelo a lamelle. Scolate i pici dopo 4’ di cottura, raffreddateli un poco, conditeli con la salsa all’uovo, guarnite con le lamelle di tartufo e servite immediatamente.
Procedimento: ridurre la carne di cinghiale a pezzi e metterla in una terrina a marinare con il vino per 3-4 ore. Preparare un trito di cipolla, sedano e carote e versarlo in una padella con dell'olio evo e gli aromi. Fare soffriggere bene. Scolare la carne conservando il vino rosso e unirla in padella dopo averla passata al tritacarne per ridurla in carne macinata. Fare cuocere fin quando si sarà asciugato il liquido di cottura. Unire adesso il vino della marinatura e farlo evaporare a fiamma alta. Unire quindi la passata di pomodoro e l'acqua e cuocere il tutto molto a lungo (un'ora, un'ora e mezza) a fuoco basso con il coperchio. Regolare di sale e pepe. Cuocere i pici, scolarli nella padella con il ragù di cinghiale e servire subito.
La storia dei pici sembra affondare le sue radici in epoca etrusca. Una prima testimonianza si può trovare nella Tomba dei Leopardi di Tarquinia, monumento funerario del V secolo a.C. che ritrae la scena di un banchetto: un servo porta a tavola una scodella contenente una pasta lunga, irregolare, che si pensa possano essere gli “antenati dei pici”.
La zona di origine pare essere di confine tra Toscana, Umbria e Lazio ed in queste tre regioni infatti la stessa preparazione prende nomi diversi come i “lombrichelli viterbesi”; i “pisciarelli”, i “torcolacci”, i “filarelli”, i “lilleri laziali”; le “ceriole”, gli “stringoli” umbri e gli “stringozzi” perugini.
Di fatto si tratta bene o male quasi sempre dello stesso impasto lavorato nello stesso modo (la vera differenza la fa sempre il condimento, come da tradizione!).
Per il nome “ufficiale”, le correnti di pensiero sono molte e discordanti. C’è chi lo fa risalire alla figura di Marco Gavio Apicio (25 a.C. 37 d.C.), uno dei più importanti gastronomi dell’epoca romana, autore di numerose ricette che vanno a comporre il corpus dell’opera intitolata “De re Coquinaria” (L’arte della cucina). Alcuni invece sostengono derivi dalla località San Felice in Picis, una cittadina della zona di Castelnuovo, della diocesi di Arezzo. Altri ritengono che il nome derivi dalla riserva di abete bianco di Piancastagnaio in provincia di Siena che presenta una forma lunga, stretta e bianca (come quella appunto dei Pici) ed è chiamato Pigelleto, termine che presenterebbe una notevole assonanza con “Pici”. Ma forse la verità risiede nel gesto che si fa con il palmo della mano per far prendere all’impasto la forma del picio, quello che nel gergo culinario toscano è il verbo “appiciare”.